27 ottobre 2013

 

No alla presentazione in più collegi, sì ai voti di preferenza, no al presidenzialismo nascosto.

«Una legge elettorale che già alla chiusura dei seggi indichi a tutti chiaramente quale sarà il Governo». Detta così, sembrerebbe un obiettivo di buonsenso, condivisibile da tutti. Una cosa chiara, innanzitutto, perché questo “pensiero” di Renzi è tra le poche cose esplicitate senza ambiguità del suo vuoto e facile eloquio da “venditore porta a porta”, fatto di battute, accattivanti sorrisetti e giochi di parole.

Ma così non è. In realtà, fa notare Ghersi, si metterebbe ancor più nell’angolo il Parlamento, e con esso la volontà popolare. E il progetto sembra più pericoloso in quanto oggi condiviso anche da molti altri a Destra e Sinistra, tra politici, commentatori e giornalisti (infatti, sbaglia anche il “liberale” Panebianco). La conseguenza certa sarebbe un Parlamento umiliato, dove più nessun parlamentare oserebbe, vorrebbe o potrebbe votare in dissenso dal proprio Partito, cosa inconcepibile per uno Stato Liberale.

Altro che semplice bipolarismo, che pure tanti mali ha fatto e sta facendo, poiché diseduca ancor più gli Italiani, già diseducati al ragionamento, alla logica e alla Politica, in eterni tifosi-bambini d’una squadra di football! Qui si vuole andare oltre, verso un sistema elettorale che per funzionare avrebbe bisogno addirittura di un’Italia “presidenziale”, monocratica e super-decisionista, ancor meno liberale e ancor più populistica di quella attuale, per la quale occorrerebbe uno stravolgimento della I Parte della Costituzione.

Una cosa grave, mai fatta da nessun legislatore. Tra l’altro, sarebbe un obiettivo che non si realizza neanche in Germania, in Gran Bretagna o in Francia, i nostri possibili “modelli”, e che sarebbe davvero un brutto segno se si realizzasse solo in Italia. Guarda caso, dopo il ventennio populista berlusconiano. Siamo d’accordo, perciò, con l’articolo di Ghersi: la democrazia autenticamente liberale non può prescindere dal Parlamento e da sistemi di rappresentanza sufficientemente proporzionali. E riteniamo i progetti presidenzialisti o cripto-presidenzialisti addirittura pericolosi per la democrazia liberale in Italia. E siamo d’accordo anche sui rimedi all’attuale legge elettorale, come l’elezione in base solo alle preferenze ottenute e il divieto di candidarsi in più di tre circoscrizioni o in più collegi.
NICO VALERIO

 

Se chiedeste ad un liberale genuino di addurre un esempio recente di funzionamento liberale delle Istituzioni rappresentative, è probabile che vi parlerebbe del Regno Unito. Il 29 agosto 2013 il Primo Ministro David Cameron sostenne in Parlamento le ragioni di un intervento armato in Siria, al fianco degli Stati Uniti, ma la mozione parlamentare che si riconosceva nel punto di vista espresso dal Primo Ministro fu respinta con il voto di 285 deputati contro 272.

Si trattò di un voto con effetti di grande rilevanza: Cameron si sottomise, come era ovvio, al pronunciamento del Parlamento; il Presidente degli Stati Uniti, Obama, privato dell'appoggio del più naturale alleato, dovette, a sua volta, chiedere il pronunciamento del Congresso degli Stati Uniti; alla fine l'intervento armato in Siria fu bloccato, almeno temporaneamente.

Trenta parlamentari conservatori e nove parlamentari liberal-democratici, tutti in teoria facenti parte della maggioranza che esprime Cameron, in quell'occasione votarono in modo difforme rispetto ai partiti di appartenenza. Per un liberale genuino, quei trentanove "ribelli", a prescindere dalle loro caratteristiche soggettive, hanno appunto incarnato l'essenza di ciò che è, di ciò che deve essere, un libero Parlamento. Di fonte ad una questione fondamentale, come è quella di decidere se entrare o meno in guerra, si decide secondo coscienza. Non ci sono governi, o maggioranze, che tengano. Poi la successiva "carriera" politica può pure andare a ramengo; ma qui ed ora si vota secondo la scelta che si ritiene migliore nell'interesse del Paese che si sta servendo a livello istituzionale.

Perché ci sia un libero Parlamento, quindi perché le esigenze della libertà, nei momenti cruciali, possano prevalere nelle decisioni delle Istituzioni rappresentative, deve sussistere una condizione necessaria: i parlamentari devono essere effettivamente "rappresentanti" delle comunità locali che li esprimono. Per dirla con parole diverse, devono essere liberamente eletti e sapere di dover la propria elezione ad elettori in carne ed ossa, con bisogni ed aspettative reali, che possono variare da una zona geografica ad un'altra.

Rispetto alla sciagurata legge elettorale di cui oggi disponiamo in Italia – legge, si ricordi, approvata mentre governava Berlusconi e modellata dal sedicente esperto Calderoli – il primo scandalo da rimuovere dovrebbe essere quello di impedire che, in futuro, i deputati ed i senatori continuino ad essere, non eletti, ma "nominati" dai vertici dei partiti. Questo è il vero scandalo contro la democrazia rappresentativa e contro il liberalismo (quello vero); è esattamente per questa ragione che l'Italia deve vergognarsi della legge 21 dicembre 2005, n. 270.

I rimedi sono facili e perfettamente noti agli autentici esperti di legislazione elettorale: nessuno può candidarsi in più di tre circoscrizioni, pena la nullità dell'elezione. Oppure, nel caso si passi dal sistema delle liste circoscrizionali a quello dei collegi uninominali: nessuno può candidarsi in più di un collegio, pena la nullità dell'elezione.

Dopodiché l'elezione deve collegarsi ad un consenso effettivamente manifestato dal Corpo elettorale nei confronti del singolo candidato proclamato eletto. Ciò significa che, se restano le liste circoscrizionali, i candidati devono essere eletti in base ai voti di preferenza ottenuti e non secondo l'ordine di presentazione nella lista. Quindi, bisogna introdurre la possibilità di esprimere preferenze. Se si passa ai collegi uninominali, poiché in ogni collegio viene eletto un solo candidato, quello più votato, si presume che il Corpo elettorale scelga la persona che appare idonea a rappresentare al meglio la comunità locale, non un deficiente che ha lo stesso ruolo del cavallo nominato senatore da Caligola.

Il fatto è che le esigenze della democrazia rappresentativa e del liberalismo (quello vero) oggi si sono smarrite. L'aspirante leader del Partito Democratico, Matteo Renzi, dispensa perle di saggezza: «Sento una gran voglia di proporzionale nei partiti, ma noi quella voglia gliela facciamo passare». Si noti bene che qui il bersaglio polemico non è la legge elettorale vigente, ma una sua eventuale modifica che, rendendo eventuale l'attribuzione del premio di maggioranza, finisse per determinare una rappresentanza espressa soltanto con il criterio proporzionale (ossia, traduciamo per gli sprovveduti, in misura esattamente corrispondente ai voti ottenuti da ciascun partito in ambito nazionale).

Cosa significa auspicare una legge elettorale che, a poche ore di distanza dalla chiusura dei seggi, consenta di conoscere chi ha vinto e chi ha perso? Prendiamo i tre più noti sistemi elettorali europei: quello inglese, quello tedesco, quello francese. Molto diversi fra loro; ma in una cosa coincidenti: nessuno è capace di realizzare quanto richiesto dal Renzi-pensiero. In Germania, col sistema proporzionale corretto da una soglia di sbarramento, occorrerà arrivare ad una coalizione fra le forze politiche che hanno ottenuto maggiore consenso (CDU e CSU in Baviera) ed un partito d'opposizione (nella circostanza, il SPD, ossia i socialdemocratici). Nel Regno Unito, dove c'è il sistema maggioritario puro con i collegi uninominali, si è dovuta fare una coalizione fra il partito di maggioranza relativa (i conservatori) ed il partito dei liberal-democratici. Il sistema francese, semipresidenziale sul piano costituzionale e con una legge elettorale a doppio turno di collegio, al momento vede una maggioranza parlamentare dello stesso indirizzo politico del Presidente della Repubblica, ma è possibile che, durante il medesimo mandato presidenziale, si arrivi ad una coabitazione con una maggioranza parlamentare di segno diverso. Come in Francia è successo più volte in passato.

Il "Sindaco d'Italia" che Renzi auspica non è compatibile con l'attuale Forma di governo parlamentare. Di conseguenza, Renzi dovrebbe essere coerente e dichiarare di essere assertore di una modifica della Costituzione in senso presidenziale. Il "Sindaco d'Italia", per poter effettivamente governare come vuole, dovrebbe contare su una maggioranza parlamentare garantita "per legge". Ossia Renzi auspica una concentrazione del potere (i liberali, invece, vogliono sempre la separazione e la distinzione fra i poteri), con il Parlamento ridotto ad un'appendice del Governo. Peggio di come avviene oggi, di fatto (ma non secondo Costituzione); esattamente come avviene nelle Regioni, in cui il Consiglio regionale è legato alla persona fisica del Presidente della Regione. In conclusione, questo Renzi-pensiero si conferma un po' deboluccio, o pericoloso, secondo i punti di vista.

Angelo Panebianco, nel consueto editoriale nel quotidiano "Corriere della Sera" (edizione del 27 ottobre 2013) ci mette in guardia da "riforme ed inganni" inerenti ad un'eventuale modifica della legge elettorale. Il non detto è chiaro quanto ciò che si legge: meglio la legge elettorale vigente, che, almeno, ha una logica maggioritaria.

Viene davvero malinconia a pensare che questi, Renzi, Panebianco, sarebbero i migliori progressisti e riformatori di cui oggi l'Italia dispone. Non a caso concordanti, nel voler lasciare nell'immediato la legge elettorale così com'è, con Berlusconi e Beppe Grillo: ossia con coloro che, per ragioni diverse, vogliono continuare ad avere l'opportunità di nominare uno per uno i propri parlamentari.
LIVIO GHERSI


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